domenica 6 settembre 2020

Percorsi ebraici per le strade di Genova

Percorsi ebraici per le strade di Genova

La giornata della cultura ebraica quest’anno aveva come titolo “percorsi ebraici”, un richiamo significativo sia per riscoprire la presenza della comunità nel tessuto culturale della nostra città, ma credo anche per sottolineare come questo popolo abbia vissuto diverse vicende che lo hanno reso, suo malgrado, un popolo itinerante sempre costretto a percorrere strade diverse.



Ascoltare i racconti di questo popolo, le loro vicissitudini avvenute dopo la distruzione di Gerusalemme, mi rimanda all’idea di nazione sempre pronta a fare i bagagli per andare a trovare una terra ospitale. Accolti e poi traditi più volte, hanno sempre ricominciato accompagnati da quel senso di precarietà, quasi un richiamo per tutta l’umanità

Le prime testimonianze della presenza ebraica a Genova sono riferite a due documenti, uno del 507 e del 511 DC, con  i quali il re ostrogoto Teodorico concede agli ebrei residenti la possibilità di restaurare al loro sinagoga. È significativo il fatto che sia proprio un testo riguardante una sinagoga, proprio perché per un ebreo essa rappresenta una casa, ma al tempo stesso una ferita legata alla lontananza dalla terra di Israele, la terra dei Padri. Orientata verso Gerusalemme, la casa dell’assemblea ebraica è espressione di un anelito, di un desiderio di sahlom dopo tanto vagare, ma al tempo stesso segno di un riferimento al Dio altissimo, alle sue Parole custodite e trasmesse. A seguito della espulsione degli ebrei dalla Spagna, alcuni si rifugiano intorno alla area della zona molo della città. Da questo momento subiscono vicende alterne, sono infatti costretti a indossare una segno distintivo per poi essere espulsi nel 1493. Genova non accoglie i figli di Abramo Isacco e Giacobbe, vissuti come minaccia, visti con sospetto, sono a più riprese costretti e riscrivere i loro percorsi. Dobbiamo attendere la seconda metà del 1600, quando durante la peste, viene realizzato un  porto franco per rivitalizzare economia. Alcuni ebrei raggiungo le sponde genovesi, provenienti da alcune parti del nord Italia. Nel 1660 viene inaugurato il ghetto ebraico tra Via del campo,  Piazzetta Fregolo e Vico Untoria; a vico del campo, detto vico degli ebrei, viene realizzata una sinagoga. 




Nel 1674 smantellato il ghetto gli ebrei si trasferiscono presso piazzetta tessitori accanto chiesa sant’Agostino.

Dalla prima metà 1700 si interrompe vincolo coatto e gli ebrei si trasferiscono presso le Mura di Malapaga verso il mare. Sono per la maggior parte del Piemonte, di Tunisi e di Livorno. Nella zona del molo, vicino alla chiesa di san Marco, viene inaugurata una nuova sinagoga. Della struttura non esistono più tracce ma gli arredi della vecchia Sinagoga sono oggi  custoditi presso quella nuova in via Bertora. La comunità che nel 1700 è composta da rigattieri e commercianti, addetti in particolare alla vendita esclusiva di caffè e  acquavite,  ha  una nuova casa, un luogo per radunarsi. Quando più ebrei si riuniscono in preghiera scende la presenza di Dio; pensate quindi quanto fosse importante per loro potersi ritrovare insieme per guardare verso Gerusalemme, in mezzo agli arredi che in parte ricordano il Tempio, la terra, l’identità. 



Ho avuto più volte occasione di entrare nella piccola sinagoga situata sotto quella maggiore di via Bertora. Accolto dal Rabbino Capo, Giuseppe Momigliano, ho avuto l’occasione di tuffarmi in questo mondo ebraico così vicino e familiare. La struttura della sinagoga  rimanda infatti ad alcuni elementi che erano presenti nel Tempio di Gerusalemme più volte descritto dalla Bibbia. Un primo elemento presente in tutte le sinagoghe: l’Aron HaKodesh (ארון הקודש) l’armadio sacro dove sono custoditi i Sifrei Torah, cioè i rotoli del Pentateuco.

Un parochet ( פרוכת), che significa "tenda" o “protezione”, separa l’armadio sacro dal resto della sinagoga. 

Aprendo l’armadio troviamo iscritti sulle due ante le 10 parole di Dio, i dieci comandamenti, all’interno invece sono custoditi i Sefer torah, cioè i rotoli della Torah; il rotolo centrale è sormontato da una corona che esprime la sovranità di Dio e sottolinea il valore universale della legge del Signore.  

Davanti all’armadio sacro abbiamo la lampada votiva conosciuta con il nome ebraico, ner tamid ( נֵר תָּמִיד ), che di solito è tradotto come "fiamma eterna" o "luce eterna". Ricorda  la menorah del Tempio di Gerusalemme e simboleggia anche la presenza eterna di Dio. 

La תֵּבָה, tevah è invece una struttura fissa e rialzata dalla quale viene guidata la liturgia e da dove vengono lette le porzioni bibliche settimanali cioè: le parashot riferite al pentateuco e l'haftarah, ossia una lettura correlata tratta dai libri della Bibbia ebraica (Tanak). Per leggere il testo sacro viene usato lo Yad, in ebraico יד, letteralmente “mano”, ossia è un puntatore

Troviamo all’interno della piccola sinagoga un lampadario proveniente dalla comunità ebraica di Amsterdam e regalato ai genovesi all’inizio del XVIII secolo. Ad arricchire il luogo sacro sono inoltre presenti due quadri con vari testi di preghiere ebraiche che si ispirano alla fede, unità di Dio e amore di Dio ed ai principi dello Shalom ed Emet ossia pace e verità Questi quadri integrano di fatto le due tavole della legge, che si possono sintetizzare in comandamenti verso Dio e verso il prossimo



Osservando questa piccolo luogo, così gelosamente custodito, pensando alla storia dei nostri fratelli maggiori, non posso altro che concludere pensando al percorso dei percorsi, ossia la vita. Essa ha bisogno di strade da percorrere, ma anche di essere accolta; necessita di un cielo per non rimanere ottusi e senza speranza; di una casa per fare sintesi. Il popolo ebraico, ed in particolare quello genovese, pellegrino per sua natura, ci insegna certamente a ricominciare sempre ma, al tempo stesso a non abbandonare le proprie radici. Questo è possibile solo se un popolo ama riunirsi per un fine e uno scopo, in un percorso che lo supera.

Don Luca Livolsi

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