Ottobre mese del Rosario
Ester ricordate la storia?
ESTER CRESCIUTA CON MARDOCHEO SUO ZIO....
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| Regina Ester permette il cambio delle sorti contro il cattivo Amnan |
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| Ester ricorda Maria |
La Bibbia come mappa per la vita. La vita spirituale e di grazia. La sua attualità, bellezza; le pagine oscure; le battaglie e le consolazioni. Insomma: un opera per la vita. Come crescere nella fede
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Percorsi ebraici per le strade di Genova
La giornata della cultura ebraica quest’anno aveva come titolo “percorsi ebraici”, un richiamo significativo sia per riscoprire la presenza della comunità nel tessuto culturale della nostra città, ma credo anche per sottolineare come questo popolo abbia vissuto diverse vicende che lo hanno reso, suo malgrado, un popolo itinerante sempre costretto a percorrere strade diverse.
Ascoltare i racconti di questo popolo, le loro vicissitudini avvenute dopo la distruzione di Gerusalemme, mi rimanda all’idea di nazione sempre pronta a fare i bagagli per andare a trovare una terra ospitale. Accolti e poi traditi più volte, hanno sempre ricominciato accompagnati da quel senso di precarietà, quasi un richiamo per tutta l’umanità
Le prime testimonianze della presenza ebraica a Genova sono riferite a due documenti, uno del 507 e del 511 DC, con i quali il re ostrogoto Teodorico concede agli ebrei residenti la possibilità di restaurare al loro sinagoga. È significativo il fatto che sia proprio un testo riguardante una sinagoga, proprio perché per un ebreo essa rappresenta una casa, ma al tempo stesso una ferita legata alla lontananza dalla terra di Israele, la terra dei Padri. Orientata verso Gerusalemme, la casa dell’assemblea ebraica è espressione di un anelito, di un desiderio di sahlom dopo tanto vagare, ma al tempo stesso segno di un riferimento al Dio altissimo, alle sue Parole custodite e trasmesse. A seguito della espulsione degli ebrei dalla Spagna, alcuni si rifugiano intorno alla area della zona molo della città. Da questo momento subiscono vicende alterne, sono infatti costretti a indossare una segno distintivo per poi essere espulsi nel 1493. Genova non accoglie i figli di Abramo Isacco e Giacobbe, vissuti come minaccia, visti con sospetto, sono a più riprese costretti e riscrivere i loro percorsi. Dobbiamo attendere la seconda metà del 1600, quando durante la peste, viene realizzato un porto franco per rivitalizzare economia. Alcuni ebrei raggiungo le sponde genovesi, provenienti da alcune parti del nord Italia. Nel 1660 viene inaugurato il ghetto ebraico tra Via del campo, Piazzetta Fregolo e Vico Untoria; a vico del campo, detto vico degli ebrei, viene realizzata una sinagoga.
Nel 1674 smantellato il ghetto gli ebrei si trasferiscono presso piazzetta tessitori accanto chiesa sant’Agostino.
Dalla prima metà 1700 si interrompe vincolo coatto e gli ebrei si trasferiscono presso le Mura di Malapaga verso il mare. Sono per la maggior parte del Piemonte, di Tunisi e di Livorno. Nella zona del molo, vicino alla chiesa di san Marco, viene inaugurata una nuova sinagoga. Della struttura non esistono più tracce ma gli arredi della vecchia Sinagoga sono oggi custoditi presso quella nuova in via Bertora. La comunità che nel 1700 è composta da rigattieri e commercianti, addetti in particolare alla vendita esclusiva di caffè e acquavite, ha una nuova casa, un luogo per radunarsi. Quando più ebrei si riuniscono in preghiera scende la presenza di Dio; pensate quindi quanto fosse importante per loro potersi ritrovare insieme per guardare verso Gerusalemme, in mezzo agli arredi che in parte ricordano il Tempio, la terra, l’identità.
Ho avuto più volte occasione di entrare nella piccola sinagoga situata sotto quella maggiore di via Bertora. Accolto dal Rabbino Capo, Giuseppe Momigliano, ho avuto l’occasione di tuffarmi in questo mondo ebraico così vicino e familiare. La struttura della sinagoga rimanda infatti ad alcuni elementi che erano presenti nel Tempio di Gerusalemme più volte descritto dalla Bibbia. Un primo elemento presente in tutte le sinagoghe: l’Aron HaKodesh (ארון הקודש) l’armadio sacro dove sono custoditi i Sifrei Torah, cioè i rotoli del Pentateuco.
Un parochet ( פרוכת), che significa "tenda" o “protezione”, separa l’armadio sacro dal resto della sinagoga.
Aprendo l’armadio troviamo iscritti sulle due ante le 10 parole di Dio, i dieci comandamenti, all’interno invece sono custoditi i Sefer torah, cioè i rotoli della Torah; il rotolo centrale è sormontato da una corona che esprime la sovranità di Dio e sottolinea il valore universale della legge del Signore.
Davanti all’armadio sacro abbiamo la lampada votiva conosciuta con il nome ebraico, ner tamid ( נֵר תָּמִיד ), che di solito è tradotto come "fiamma eterna" o "luce eterna". Ricorda la menorah del Tempio di Gerusalemme e simboleggia anche la presenza eterna di Dio.
La תֵּבָה, tevah è invece una struttura fissa e rialzata dalla quale viene guidata la liturgia e da dove vengono lette le porzioni bibliche settimanali cioè: le parashot riferite al pentateuco e l'haftarah, ossia una lettura correlata tratta dai libri della Bibbia ebraica (Tanak). Per leggere il testo sacro viene usato lo Yad, in ebraico יד, letteralmente “mano”, ossia è un puntatore
Troviamo all’interno della piccola sinagoga un lampadario proveniente dalla comunità ebraica di Amsterdam e regalato ai genovesi all’inizio del XVIII secolo. Ad arricchire il luogo sacro sono inoltre presenti due quadri con vari testi di preghiere ebraiche che si ispirano alla fede, unità di Dio e amore di Dio ed ai principi dello Shalom ed Emet ossia pace e verità Questi quadri integrano di fatto le due tavole della legge, che si possono sintetizzare in comandamenti verso Dio e verso il prossimo
Osservando questa piccolo luogo, così gelosamente custodito, pensando alla storia dei nostri fratelli maggiori, non posso altro che concludere pensando al percorso dei percorsi, ossia la vita. Essa ha bisogno di strade da percorrere, ma anche di essere accolta; necessita di un cielo per non rimanere ottusi e senza speranza; di una casa per fare sintesi. Il popolo ebraico, ed in particolare quello genovese, pellegrino per sua natura, ci insegna certamente a ricominciare sempre ma, al tempo stesso a non abbandonare le proprie radici. Questo è possibile solo se un popolo ama riunirsi per un fine e uno scopo, in un percorso che lo supera.
Don Luca Livolsi
Nel cristianesimo si parla molto di amore, ma a volte sembra che questo amore sia un po’ astratto, avulso dalla realtà. Eppure è necessario amare con quello che siamo, con la nostra sessualità, i desideri, le forti emozioni, con il bisogno che abbiamo di toccare e di stare vicini agli altri.
Noi crediamo che Dio ha creato questi corpi, e ha detto che erano cosa molto buona; Dio si è fatto corpo tra di noi, essere umano come noi; Gesù ci ha donato il sacramento del suo corpo e ha promesso di resuscitare i nostri corpi. E dunque noi dovremmo sentirci a casa nostra nella nostra natura corporea, con le sue passioni, e a nostro agio nel parlare di affettività.
Dio si è incarnato in Gesù Cristo, ma forse noi stiamo ancora imparando a incarnarci nel nostro corpo. Dobbiamo scendere dalle nuvole!
Il mio cuore e la mia carne devono incarnarsi nella persona che sono, nella vita che Dio ha scelto per me, in questa carne e in questo sangue.
Dobbiamo imparare ad amare con quello che siamo, esseri dotati di sessualità e di passioni, a volte un po’ disordinati. Altrimenti non avremo nulla da dire sul Dio che è amore.
Il corpo non è soltanto un bene che possiedo. Il corpo sono io. È il mio essere, quello che ho ricevuto dai miei genitori, che a loro volta l’hanno ricevuto dai loro, e in ultima istanza da Dio. Al punto che quando Gesù dice: “Questo è il mio corpo, offerto per voi”, egli non sta disponendo di un bene: sta consegnando il dono che egli stesso è. Il suo essere è un dono del Padre ed è questo che egli ci lascia.
Le relazioni sessuali sono chiamate a essere una realizzazione di questo dono di sé. Sono qui e mi dono a te, con tutto quello che sono, ora e per sempre. E così l’eucaristia ci aiuta a comprendere che cosa significa per noi essere individui dotati di sessualità, e la nostra sessualità ci aiuta a comprendere l’eucaristia.
Aprirsi all’amore è molto pericoloso. Ci sono buone probabilità di rimanere feriti. L’ultima cena descrive bene il rischio che si corre ad amare. Per questo Gesù è morto: perché ha amato … Ma non aprirsi all’amore è ancor più pericoloso: è un rischio mortale.
Quando amiamo qualcuno profondamente dobbiamo imparare a essere casti. Tutti – celibi, sposati, religiosi – siamo chiamati alla castità … cioè a vivere nella realtà di quel che sono io e di quello che sono realmente le persone che amo … È un’estrema adesione alla realtà … Consiste nel vivere nel mondo reale, nel vedere l’altro così com’è, e me stesso così come sono. Non siamo né divini, né un semplice ammasso di carne. Siamo entrambi figli di Dio. Abbiamo la nostra storia.
Per rimettere i piedi per terra … bisogna imparare ad aprire gli occhi e a vedere i volti di quelli che ci stanno dinanzi … acquisendo la serenità di chi ha smesso di inquietarsi per il passato e per il futuro.
Durante l’ultima cena Gesù ha colto il momento presente. Invece di inquietarsi per quel che Giuda aveva fatto o per l’arrivo dei soldati, ha saputo vivere il presente: prese il pane, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: “Questo è il mio corpo, offerto per voi”. Ogni eucaristia ci immerge in questo “ora” eterno. È in questo momento che posso farmi presente a un’altra persona, sereno e tranquillo alla sua presenza. Ora è il momento in cui posso aprire gli occhi e guardarla. Sono sempre così occupato, impegnato a correre a destra e a sinistra, pensando a quello che succederà dopo, che può capitare che non veda il volto di chi mi sta di fronte, la sua bellezza e le sue ferite, la sua gioia e le sue sofferenze. Dunque la castità comporta l’apertura dei miei occhi!
In secondo luogo, si deve imparare l’arte di stare da soli. Non posso stare bene con gli altri se non riesco ogni tanto a stare solo con me stesso. Nella misura in cui la solitudine mi fa paura avrò la tendenza ad attaccarmi agli altri non perché stia bene con loro, ma come soluzione al mio problema. Vedrò la gente semplicemente come un mezzo per colmare il mio vuoto, la mia terribile solitudine. Dunque non sarò in grado di rallegrarmi con loro per quanto hanno di bene. E quindi, quando si è alla presenza di un’altra persona, bisogna sforzarsi di essere veramente presenti, e quando si è soli imparare ad amare la solitudine. Altrimenti quando si è con gli altri ci si aggrappa a loro fino a soffocarli!
[Bisogna poi] fare in modo che il nostro amore liberi le persone. Ogni amore, che sia quello degli sposati o dei celibi, deve essere liberante … Noi dobbiamo amare le persone in modo che esse siano libere di amare gli altri più di noi.
Questo presuppone che si agisca in modo da non essere al centro della vita degli altri facendone delle persone dipendenti da noi. Bisogna sempre che ci sforziamo di offrire loro altri punti di appoggio, altre consolazioni, di modo che noi diventiamo meno importanti per loro. Così la domanda che uno deve porsi costantemente è: il mio amore rende questa persona più forte, più indipendente, oppure la rende più debole, più dipendente da me?
Imparare ad amare è un’impresa pericolosa. Non sappiamo dove può condurci. La nostra vita ne sarà stravolta. Ci accadrà certamente in certi momenti di essere feriti. Avere un cuore di pietra sarebbe più facile che avere un cuore di carne, ma in questo caso noi saremmo morti! E da morti non potremmo parlare del Dio di vita. Ma come trovare il coraggio di vivere passando attraverso questa morte e resurrezione?
In ogni eucaristia noi facciamo memoria del fatto che Gesù ha versato il suo sangue per il perdono dei peccati. Questo non significa che doveva placare un Dio che era andato in collera. Né significa soltanto che se sbagliamo possiamo andare a confessare i nostri peccati ed essere perdonati. Significa molto di più. Vuol dire che al cuore di tutte le nostre lotte per essere delle persone viventi e amanti, Dio è al nostro fianco. La grazia di Dio è con noi nei momenti di fallimento e di turbamento, per aiutarci a rimetterci in piedi. Così come, la domenica di Pasqua, Dio ha trasformato il venerdì santo in un giorno di benedizione, noi possiamo confidare nel fatto che tutti i nostri sforzi per amare porteranno dei frutti. Dunque, non c’è ragione di aver paura! Possiamo lanciarci in questa avventura verso l’ignoto con fiducia e coraggio.
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