Giovanni 20, 11-18
Nell’orto degli ulivi, al campo del torchio, di notte, Giuda abbraccia Gesù, lo trattiene perché lo vuole a sua immagine come desidera lui. Le guardie sono persone indistinte, a loro viene rivolta la domanda: “chi cercate”
Chi cercate: una domanda che cade come un appello alla propria identità (cosa vuoi?) davanti a un Drappello confuso, di persone armate, in stato difesa, pronto all’attacco.
Nel Vangelo di oggi invece è mattino, c’è tutta la luce della grazia della resurrezione.
“Chi cerchi” ecco di nuovo la domanda, in un giardino diverso dal Getsemani, rivolto a una donna indifesa.
A pochi passi dalla Albero della vita, nel giardino La sposa che cerca lo sposo; supera molte guardie, cerca l’amato, come nel cantico dei cantici.
La sposa viene chiamata per nome: esce dalla confusione.
È vero, e bello sentirsi chiamare per nome da Gesù, quando i pensieri sono come dei soldati nel buio, quando prevale il trattenere per paura di perdersi.
Una recente canzone di Bugo, “Sincero”, mostra un uomo con tante ambizioni, sogni assurdi, ma cerca solo di essere riconosciuto:
“Però di te mi importa veramente al di là di queste stupide ambizioni “.
Questo Vangelo dice a me che il Signore mi riconosce in ogni situazione come figlio di Dio. Mi dice di abbassare la guardia.
E mi manda a riconoscere gli altri, a dirgli che esistono e sono amati.
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