martedì 7 aprile 2020

Utima cena

Matteo 26,14-25
Gesù è riuscito a trasformare un momento di fallimento in una liturgia che ci è stata da lui stesso trasmessa che ogni giorno celebro .
Mentre l’ora si fa più buia ecco il dono efficace, che avrà nella croce il suo  compimento e che in ogni messa mi raggiunge. 
Come non pensare alla situazione attuale. Che luce sta spuntando del buio? Che segno si sta manifestando?



Mentre ogni giorno innalzo l’ostia ed il calice scopro di essere io sollevato; mentre tengo questi doni in mano, sono io tenuto e sostenuto. Appeso come uno scalatore alle fenditure della roccia.
A quel tavolo con i dodici, Gesù ha gesti e parole di misericordia. Di fronte a persone ancora ignare del destino del messia e della loro sorte futura, le parole sono dense. Gesù li sta preparando alla futura missione, per alcuni brevissima, per tutti umanamente tragica ma vincente.
Tutto sembra rallentato per consentire la assimilazione. 
Anche quel “guai a lui... sarebbe meglio che non fosse mai nato” sembra la parola di un un amico  sofferente alla porta di casa che vede l’allontanamento dell’amato fratello. Un avvertimento addolorato per suscitare il desiderio di fare un passo indietro. 
Quanti appelli alla coscienza nelle parole di Gesù.
Forse oggi è il giorno in cui devo prendere coscienza. Fermarmi un attimo, ascoltare la voce che proviene dal sacrario dove in me è custodito lo Spirito di Dio. 

Mi trovo oggi al tavolo con Gesù e mi domando fiducioso il senso di questa Pasqua 2020. 
Cosa mi stai dicendo Gesù? Sto capendo? Come sarò dopo? 

Non posso rimanere uguale a prima. 

Cosa vuol dire “andrà tutto bene “ alla luce della Pasqua? Ritornerà tutto normale: cioè che sarà tutto semplicemente (e banalmente) come un incubo finito? Come rendere “sacramento “ questo momento? 

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